Quando ChatGPT sostituisce lo psicologo: la tendenza che sta cambiando il modo di confidarci

27 Maggio 2025 | Consumatori, Curiosità, Mondo digitale, Mondo digitale, Salute, Sanità e Salute

Negli ultimi anni, il rapporto tra tecnologia e benessere psicologico ha assunto sfumature sempre più complesse. Con l’avvento dell’intelligenza artificiale, strumenti come ChatGPT sono diventati una sorta di moderno “confessore digitale”, capace di ascoltare senza giudicare, di rispondere con empatia programmata e di restare disponibile 24 ore su 24. Ma cosa spinge sempre più persone a preferire un dialogo con un chatbot invece che con uno psicologo in carne e ossa?

L’accessibilità come primo fattore chiave

Uno dei motivi principali è, senza dubbio, la facilità d’accesso. Basta uno smartphone e una connessione internet per aprire una finestra su un interlocutore sempre pronto ad ascoltare. A differenza delle sedute di psicoterapia che richiedono appuntamenti, costi elevati e lunghe attese, ChatGPT rappresenta una via immediata, gratuita o a basso costo, per chi cerca un momento di confronto o sfogo emotivo.

L’assenza di giudizio e la sicurezza dell’anonimato

Non è solo una questione di comodità. C’è qualcosa di profondamente umano nella scelta di confidarsi con una “presenza” che ascolta senza giudicare, che risponde subito, che non chiede nulla in cambio. Il chatbot diventa un rifugio discreto per chi sente di non avere spazio altrove per le proprie emozioni. L’utente infatti, si sente libero di esprimere pensieri e paure, anche quelli più intimi o socialmente stigmatizzati, sapendo di non trovarsi davanti a uno sguardo umano che possa tradire disapprovazione. Questa dinamica è particolarmente significativa per adolescenti, persone con disagio psichico lieve, o per chi si avvicina per la prima volta alla consapevolezza del proprio malessere.

Inoltre, l’interazione con un’intelligenza artificiale permette di avere il controllo della conversazione: può interromperla quando vuole, modificarne il tono, oppure riformulare domande senza il disagio del confronto diretto. Inoltre, la rapidità delle risposte e la possibilità di adattare il dialogo a diversi stili comunicativi contribuiscono a creare l’illusione di un rapporto autentico, personalizzato e costruito sulle proprie esigenze.

Ma è davvero un’alternativa alla psicoterapia?

Gli esperti mettono in guardia da una pericolosa sovrapposizione. ChatGPT può offrire sollievo momentaneo, stimolare riflessioni, fornire informazioni utili sul benessere psichico, ma non può sostituire il lavoro clinico e relazionale dello psicologo. Quest’ultimo infatti, a differenza di ChatGPT, non si limita a rispondere con parole già scritte o statistiche. Il suo valore risiede nell’empatia, nella capacità di costruire un rapporto umano, di interpretare segnali complessi, di guidare chi soffre attraverso un percorso di consapevolezza e guarigione. I rischi maggiori si manifestano nei casi più delicati: depressione, disturbi d’ansia gravi, traumi non elaborati. In questi casi, affidarsi esclusivamente a un chatbot può portare a sottovalutare il problema o a ritardare il percorso terapeutico appropriato.

L’accesso alla psicoterapia rimane, comunque, un tema aperto: costi elevati, liste d’attesa lunghe e stigma sociale sono ostacoli reali. Questa situazione rende l’intelligenza artificiale un’opzione allettante, soprattutto per chi non può o non vuole rivolgersi subito a uno specialista.

Una nuova sfida per la cultura del benessere mentale

Il crescente uso dell’intelligenza artificiale come “spalla emotiva” ci impone una riflessione culturale profonda: quanto ancora fatichiamo a legittimare il bisogno di aiuto psicologico? E quanto la tecnologia ci offre una scorciatoia che, seppur utile, rischia di rafforzare la nostra tendenza all’isolamento emotivo? L’intelligenza artificiale può essere un prezioso alleato, ma non deve diventare un surrogato delle relazioni umane. La vera sfida sarà integrare questi strumenti in una visione più ampia di salute mentale, dove il digitale accompagna, senza sostituire, la complessità del rapporto terapeutico.

Fonte: Geopop

Foto: Matheus Bertelli